Capitolo Quattordicesimo: “L’Inizio”
“Sogno un antico Re. Di ferro
è la corona e morto lo sguardo.
Non ci sono più di queste facce. La ferma spada
lo rispetterà, leale come il suo cane.
Non so se è di Northumbria o di Norvegia.
So che è del Nord. La folta e rossa
barba gli copre il petto. Non mi getta
uno sguardo, il suo sguardo cieco.
Da quale spento specchio, da quale nave
dei mari che furono la sua avventura,
sarà spuntato l’uomo grigio e grave
che m’impone la sua antichità e la sua amarezza?
So che mi sogna e che mi giudica, eretto.
Il giorno entra nella notte. Non se n’è andato”. Jorge Luis Borges
So che dentro a questo buio le porte, che contornano questo luogo, sono aperte; So che le finestre sono sprangate da sempre. L’odore acido di fumo di sigaretta impregna in sudario che mi avvolge. Non vedo; qualcosa, qualcuno mi ha bendato gli occhi. Vorrei prendermi in braccio, muovere queste braccia di gesso, lasciar gridare le mie corde vocali. Ci provo, tremo, mi acquieto e prego quel Dio che si è dimenticato di me. Maledetto. Sì, dev’essere che son morta mille anni fa. Cado, precipito in un incubo senza fine. Ed è dalla fine che ricordo l’inizio. Fotogrammi reali, nitidi e senza difetti. Eccomi con ali di falena sbattere nel riverbero dorato di quest’incubo senza fine, senza inizio. Eccomi; la testa sulle spalle le nuvole nel cielo, il gelo nelle ossa, un piede in una scarpa e un altro in un’altra; il disordine sulla scrivania, i gatti dentro casa e il profumo della pioggia sulla faccia. Il caldo opprimente è sparito con il primo temporale di settembre. Eccomi, ora resto immobile, come immobile è lo sguardo di chi mi segue da lontano. Il ricordo dell’inizio. Sono uscita a fare una passeggiata; amo camminare sotto la pioggia e amo il rumore dei tuoni che squarciano le nubi vestite di nero. Un colpo di vento, forte, mi butta per terra. Sento la faccia schiacciata nel fango; mezza faccia è sprofondata nel miscuglio puzzolente di fango e acqua. Ora piove forte e non so come mai non riesco a rialzarmi. Sicuramente un masso mi è rovinato addosso, facendomi cadere a terra. Il gusto ferroso del sangue mi cola tra le labbra. Mi sento soffocare. Non riesco a muovermi. Nessuna auto che passa, nessuno che mi soccorre. Eppure questa strada è trafficata, eppure qualcuno dovrebbe vedermi, così, stesa a terra nell’erba… colpita da un masso. Sento che mi sono ferita, ho sbattuto la faccia e la testa. Sanguino.
Buio.
Mi sento trascinare.
Mi hanno trovata. Che cosa mi succede ora?
Prendo coscienza delle cose con incredibile lentezza. Ho male dappertutto, come se qualcuno mi avesse pestato a sangue, eppure un attimo fa, qualcosa mi ha fatto cadere. Sono solo scivolata.
Si ricordo, un masso o il ramo di un albero, con il temporale mi è caduto addosso. Ma perché non riesco ad aprire gli occhi, perché mi fa male dappertutto. Non lo so.
Non capisco cosa mi stia capitando. Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Un paio di mani forti mi gira all’insù. Uno schiaffo. E poi un altro. Sento una lama gelida tagliarmi la pelle delle braccia e la pelle delle cosce. Altre due mani, strappano l’abito leggero. Sento forte l’odore di sudore. La voce di un uomo. O di un ragazzo che si crede un uomo. Sta per succedere qualche cosa, lo sento. Respiro a fondo, ma non riesco a parlare, non riesco a dire nulla. Cerco di prendere fiato respirando velocemente una, due, tre volte…mille volte. Sento stringere i miei seni, sento che qualcuno mi graffia la pelle del ventre. Sento la pioggia battente e il rombo dei tuoni. Ora uno mi si appoggia davanti spalancandomi le gambe, mentre un altro si accuccia vicino alla mia testa. Sì, sta per succedere qualche cosa, lo so. Ho paura, piango e tremo, prego che sia un incubo. Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli come a essere pronto a tenermi più ferma. Mi sento strappare le mutandine di cotone. Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si strofina contro la testa. Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare. Mi sento strappare la carne, lo sento dentro le viscere. E’ un dolore insopportabile. La verginità che conservavo per l’amore vero mi viene strappata ai bordi di una via, no so dove. Tento di muovermi; di scappare. Ma dove potrei mai fuggire?
“Ti piace puttana, ti muovi?; Dai troia, fammi godere. Fammi godere”.
M’immobilizzo di colpo, il cuore mi si sta spaccando dentro al petto. Uno schiaffo, un morso sulla spalla nuda. Una bestia mi sbrana. Non smette più di farmi male. Non smette più di prendermi.
“Mamma, mamma!”.
“Muoviti puttana fammi godere”. Sono di pietra, mentre lo schizzo di qualcosa di viscido mi colpisce la faccia.
“Mamma, mamma… Aiuto!”. Imploro in silenzio la morte. Il dolore non ha fine. I colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.
“Dai troia, fammi godere o ti ammazzo come una cagna, perché sei una cagna”.
Sento quello dietro di me colpirmi con qualcosa di duro. Il sangue mi cola su naso, sulla bocca. Tossisco. Ecco, credo di essere, allora, svenuta.
Non so quanto tempo sia passato. Non so quando sono morta. Ma ora sono sveglia.
“Dormi, piccola. Dormi. Non è arrivato il momento di svegliarti, devi dormire per far guarire le ferite. Ora sei al sicuro. Sono Victor e ora sei mia figlia. Dormi…”.
Un dolore acuto al braccio. Il sonno chimico.
Buio. Incubi.
Mi sento cullare.
Mi ha trovata. Che cosa mi succede ora?
Pace. Victor. Un padre.
Buio.
“L’inizio-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina”©Copyright2011/2013
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Immagine: Google Immagini
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Interessante capitolo, scritto molto bene con drammatico racconto di uno stupro. Non ho letto i precedenti ma credo che lo farò.
Complimeti. sei riuscita a creare un bel clima
Un caro saluto