Capitolo Tredicesimo: “Viola d’alba”
“In breve le sue vesti inzuppate dall’acqua interruppero l’incanto melodioso,
e trascinarono l’infelice in fondo alle acque, dov’è spirata.
Oimè! Annegata! Povera Ofelia vorrei raffrenare le lagrime. Muore per amore di Amleto”.
Shakespeare “Amleto”
Notte nera.
Nero dolore.
Nero Pulsare.
Victor. Il suo odore.
Viola d’alba.
Blu mare. Silenzio. Dondolio d’onde.
Sentivo il ghiaccio scorrermi nelle vene. Il dolore pulsava sordo in ogni parte del mio corpo. Il gelo si faceva largo dentro di me, fino a darmi la sensazione di farmi scoppiare le vene. Galleggiavo nell’acqua gelata e facevo fatica a respirare, ma non provavo nessuna paura. Giacevo mollemente in un letto d’acqua, come un’alga nel suo ambiente naturale. Tutto era normale, tutto sembrava facile. Tenevo gli occhi serrati, come ad attendere un momento speciale che la vista avrebbe rovinato. I pensieri volarono per un attimo a quando da piccola, nel giorno del mio compleanno, prima di spegnere le candeline, strizzavo gli occhi per esprimere i miei desideri di bimba. Occhi chiusi come avevo tenuto tante volte, quando abbandonata tra le braccia di Victor mi ero fatta cullare dalla limpidezza della sua voce, dal suo profumo, perdendomi e confondendomi al tutto, cogliendo in un solo attimo tutto ciò che di bello gli dei crearono. Attimi in cui c’inebriavamo d’amore, sino al sonno. Riuscivo ancora a sentire il battito del suo cuore, il profumo del suo corpo, della sua pelle, nella purezza che sopraffaceva ogni malvagità, che poi si era impossessata di lui. Victor divenne un crudele essere senza cuore. Ricordi, dolore, morte. Sapevo che il veleno di Victor scorreva dentro le vene e percepivo il senso amaro della consapevolezza che mi portava all’incapacità di reagire. La rabbia sorda e senza speranza, di chi è separato dalla propria felicità da una sottilissima eppure incolmabile distanza tra l’odio e amore, mi avrebbe dovuto far raccogliere quelle poche forze che mi rimanevano, ma era più facile non reagire. Il cuore mi faceva male; quale divinità abbietta e malvagia può permettere di gustare il paradiso destinandomi poi all’inferno? In quello strano dormiveglia mi lasciai cullare dai flutti. Scivolai nell’incoscienza della morte.
Le onde, misericordiose, la deposero dolcemente nella battigia della spiaggia deserta di Point St. Mathieu e le ore ricoprirono quel corpo esanime che pareva di alabastro. Il giorno, plumbeo e nebbioso, lo accolse vegliandola fino a quando qualcuno non la scorse da lontano.
Sembrava una bambola abbandonata in balia delle onde. Le accarezzò con leggerezza la gota, la sua pelle soffice somigliava a morbida spuma marina, ripulita dalla flebile brezza piovigginosa di quel giorno d’autunno. Era una bella donna, vestiva un abito dai colori cipriati e il sale marino, che si era asciugato, donava alla sua pelle un colore porcellanato. Lo sconosciuto scrutò velocemente il corpo seminudo e vide alcuni graffi, molte contusioni. Scostandola di lato, vide un bruttissimo taglio slabbrato che le segnava il torace, all’altezza del cuore. Sembrava morente. Respirava impercettibilmente e in modo agonico. I suoi capelli, incrostati di sabbia, avevano formato un morbido cuscino sul quale la sua testa riposava. Fissò i suoi occhi chiusi e si domandò cosa, e chi, avesse visto prima di chiuderli. Forse la stessa bestia che si era accanita contro di lei. La prese in braccio, poggiando dolcemente il capo sul suo petto, portandola come fa un padre con la figlia dormiente, e si diresse verso le antiche rovine dell’abbazia di St. Mathieu.
“Viola d’alba-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011
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Immagine: Google-EVFDGraphics
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Intenso e seducente.
Forte nel tratto e centile nei contorni. Una “notte” ammaliante.
Siete divina mia Signora.
Cordialità
(Molti auguri per un sereno nuovo anno.)