Capitolo Primo: “3.33”

3.33  “Quando lo specchio riflette ciò che vogliamo vedere…”…
“Eppure manca ancora qualcosa. Manca il tempo, manca il corpo.
Manca la consapevolezza e suture per chiudere lesioni. Piccole polaroid di chi ha una vita da vivere e un’altra vissuta. Di chi nasce e rinasce con la costanza dell’acqua. Di chi guarda dritto in faccia la morte, col cuore pulito e le mani sporche di sangue. E manca chi sa soffrire in silenzio, per poi gridarlo alla luna; al vento, tra le onde di mare in tormento. Restano i sogni di chi ha masticato  dolore per tutto, e gli stereotipati sguardi di chi comprende solo ciò che vuol vedere”.
Questi i miei pensieri, mentre guardavo i led, che pigramente lampeggiavano da una sveglia, posta sopra al comodino. Refoli d’aria fredda entravano dalla porta a vetri spalancata nel buio. Mi alzai dal letto disfatto, e uscii a vedere quel nero che sembrava attendermi. Non mi preoccupai di coprire le mie nudità. Passai le dita tra i capelli, scuotendoli lentamente e mi lasciai avvolgere dall’aria fresca. Sorrisi nel buio, sentendomi appagata, languida e satura di piacere. Dal cielo, nero come la pece, fece capolino una distratta luna. Rossiccia, enormemente piena, e nel riverbero luminoso che entrava nella stanza, vidi il letto, le sagome dei mobili lussuosi e gli abiti sparsi sul pavimento. Ricordai.
Piccoli frammenti di nebulosi pensieri s’erano addensati nella mia mente. Un miscuglio di flashback mi avevano fatto perdere la consapevolezza di me stessa. Non mi riconoscevo più. Neanche quando, poche ore prima mi ero fermata davanti al grande specchio nella hall dell’albergo. Mi guardavo, dentro alla cornice dorata. I lunghi capelli, adagiati morbidamente sulle spalle nude, la pelle eburnea messa in evidenza dal vestito color carminio,  facevano da contorno all’estranea riflessa nello specchio. Gli occhi malinconici seppur truccati in modo sapiente, le labbra carnose dipinte di rosso e le mani tremanti intente a lisciare la gonna vaporosa sembravano il triste epilogo di una donna che si era persa tra le maglie del tempo. E poi la sala da pranzo, l’atmosfera rarefatta di lucori soffusi e di musica di piano, gli sguardi indagatori degli altri ospiti.
E poi Lui.
Ricordai l’uomo che avevo conosciuto la sera prima. Si era accostato a me, porgendomi un calice con dentro qualcosa.
“E’ un Louis Roederer, annata 1958, seduce lo sguardo di chi lo scruta nel bicchiere, il suo aspetto cristallino è intrigante, come lo siete voi, mia signora. Vi osservo da un po’. Siete seduta a questo tavolo, sola, e sembrate tremendamente infelice. Mi permetto di farvi un po’ di compagnia, almeno il brusio che sussurra di voi si acquieterà per un attimo”.
Disse lo sconosciuto in abito scuro. Gli feci cenno di sedersi, lanciando uno sguardo alla sala nell’ora di cena. Si, in molti mi guardavano sottecchi, e sicuramente lanciavano qualche commento rivolto alla mia persona, ma poco mi importava. Lui mi sussurrò il suo nome, porgendomi la mano. Gli sorrisi e mi chiese se volevo cenare con lui. Appoggiò i calici e la bottiglia di champagne sul tavolo e  iniziò a parlare di se, del suo lavoro, di come era bella  Parigi a maggio. Avevo fame e accettai l’invito. Lui ordinò anche per me. Era galante, affabile, molto bello e sicuro di se. Mi piaceva la sua compagnia, ma allo scoccare della mezzanotte gli dissi che dovevo ritirarmi nella mia stanza. Sorrise dispiaciuto.
“Siete come Cenerentola, che deve scomparire alla mezzanotte” mi disse, con un tono allegro, ma con una punta d’ironia. “Se volete accompagnarmi…”gli dissi sottovoce, alzandomi lentamente. Non ci pensò un attimo. Fece un cenno al cameriere e dopo pochi istanti lo sentii raggiungermi, passando il braccio attorno alla mia vita.
“Siete bellissima, e i vostri capelli mi ricordano sottili strisce di sangue, che scivolano sulla neve”. Non risposi mentre chiamavo l’ascensore. Si strinse a me, sfiorando con un bacio le mie spalle nude. Ci sarebbe stato un epilogo a quella sera. Lo sapevo io e lo sapeva lui.
Entrammo in ascensore, e mi baciò. Un bacio dolce, un bacio da amanti.
Arrivati alla mia stanza, lo feci entrare. Avevo fame. Iniziammo a fare l’amore.
Perdemmo la cognizione del tempo, e per quello che stava succedendo. Eravamo come due bestie in cerca di amore. Lo sentii nell’apice del piacere, fondersi a me. Lo sentii chiamare forte il mio nome.
Un urlo roco, simile a un rantolo.
In quel letto disfatto giaceva l’uomo di cui non ricordavo il nome.
Mi avvicinai a quel corpo dormiente; era a pancia in giù. Ombre scure, sulle lenzuola candide lo contornavano. Scostai le lenzuola, e alla luce della luna, vidi la perfezione del suo corpo nudo. Le gambe abbronzate, i glutei sodi, il busto ben tornito e le braccia tese e muscolose. Un braccio era scivolato dal letto, presi il polso e vidi lo squarcio. Ricordai.
Lui mi osservava con occhi smeraldini e vitrei. Il suo sorriso sembrava un ghigno grottesco. Lo avevo posseduto, come lui aveva fatto con me. Ma io gli avevo preso molto di più. La mia fame si era calmata e lui era solo un’altra tessera di un puzzle distorto.Mi leccai le dita, sentendo il gusto del suo sangue dolciastro, misto al gusto salino del suo sperma. E sorrisi nuovamente. Non si era accorto che durante tutta la cena non avevo toccato cibo, né assaggiato il suo costosissimo champagne. Gli avevo sussurrato “Costanza”. Sicuramente in quel momento avrà pensato fosse il mio nome. Poco mi importava. Avevo giocato al suo gioco. Vincendo. E poi il sesso, il suo membro che si faceva largo dentro il mio ventre, possedendomi.
E poi Io.
Lo avevo semplicemente ucciso, suggendo il suo sangue. Non si era reso conto che nell’amplesso, l’eros si fondeva con tanathos, e che lui stava scivolando dalla vita alla morte in pochi attimi. Sentivo il suo sangue scorrermi nelle vene.
Gli strappai la collanina che aveva al collo. E guardai il simbolo che il medaglione raffigurava. Una stupida croce egizia, la croce della vita. La presi e la infilai distrattamente nella pochette.
E come arrivai, lieve come vento, con il favore delle tenebre scomparii.

“3.33” ©EmmaVittoria F. Dall’Armellina 2011

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Immagine: Google – EVFDGraphics

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