Capitolo Undicesimo: “Apocalisse”
“Vidi poi un altro angelo, possente, discendere dal cielo.
Avvolto in una nube, la fronte cinta d’arcobaleno;
aveva la faccia come il sole e le gambe come colonne di fuoco.
Nella mano teneva un piccolo libro aperto.
Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra,
gridò a gran voce come leone che ruggisce.
E quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce.
Dopo ché i sette tuoni ebbero fatto udire la loro voce,
io ero pronto a scrivere,
quando udii una voce dal cielo che mi disse: “Metti sotto sigillo quello che hanno detto i sette tuoni e non scriverlo”. Apocalisse 10-4
Ero arrivato al faro, seguendo il profumo dolciastro dell’amore, della morte e delle lacrime.
Sapevo quali erano le intenzioni di colei che ancora amavo. Corsi.
Mi fermai di colpo, riprendendo brevemente fiato. Potevo sentire l’aria fredda riempirmi i polmoni, ghiacciare il sudore, fermare il sangue e pizzicarmi la pelle con sottili e invisibili aculei. L’aria era stranamente fredda, quasi maligna; anche l’odore che saturava il cielo era empio e malvagio. Inspirai lentamente. La speranza dei miei sogni, avrebbe fatto i conti con la cruda realtà. Sentii un brivido corrermi lungo la schiena; non era il freddo e neanche la paura, ma qualcosa di più sottile e terribile. Una sorta di sgomento che si prova quando al risveglio dai nostri più bei sogni, ci si rende conto che la realtà li sconfigge, li distrugge, annichilendoli, per poi mostrarci sadicamente il nulla che siamo, e saremo.
Scrutavo il diurno sciogliersi dentro il nero della notte.
Il tempo sembrava essersi cristallizzato e tutto pareva immobile. Senza vita.
Nascosto dietro le rovine dell’antica cattedrale di Point Saint Mathieu, osservavo il profilo femmineo, adagiato sul terreno molliccio e umido.
Tutto intorno a quella figura etera, sembrava bruciato, ridotto a un deserto di terra e sabbia. Il terreno, sembrava esalare sofferenza, violenza e il grido del ripetuto stupro che gli era stato infitto nel corso dei secoli, facendolo diventare un luogo arido e sterile. L’odore salmastro diventava sempre più forte, quasi nauseabondo. Mi stringeva i polmoni, mozzandomi il fiato. Quel sentore malsano, mi faceva girare la testa insinuandosi prepotentemente dentro di me quasi a volermi portare fino alla follia.
Ricordavo gli errori commessi, ma ora, era tardi.
Eppure una flebile speranza rimaneva aggrappata dentro di me, prima che l’inferno che io stesso aveva svegliato, l’immane potere che avevo cercato e liberato rifluisse su di me, su di noi, dopo la breve quiete concessaci, come la risacca, messaggera dell’onda che verrà. Che tarda ad arrivare…
Avrei dato a quell’angelo ciò che anelava. La morte. La fine. Il nulla.
“Apocalisse-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011
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Immagine:Google-EVFDGraphics
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