Lei si è staccata da anni dal resto del mondo – il mondo terreno – ma non credo vi sia nessun’altra persona, amica od amico, che io senta più viva, quando raccolgo il mio tempo e lo stringo per farne un tesoro di brillanti pensieri da godermi tutto da solo: Ed ecco che rivivo quel viaggio sul treno, lontano oramai, giacché chissà quanti altri viaggi avrò fatto a tutt’oggi, da quando l’incontrai là seduta, pensosa, o forse un po’ stanca, con il capo reclino, ma soltanto di poco, sulla spalla sinistra, mentre gli alberi e l’erba, le case e le sparute persone, il terreno grigio d’asfalto oppure sterrato, guizzavano via, attorno e sotto di lei, facendo della sua esile figura, rinchiusa in quello scompartimento deserto, l’unica, nitida, immagine che i miei occhi potessero scorgere. E fu proprio per questo motivo, credo, che io la guardai. La guardai e forse risi di lei: del suo sguardo un po’ mesto, del suo viso pallido pallido, e di quegli occhi un po’ spenti. La paragonai ad una statua di cera; ma dubito che esista cera bianca come il colore che vidi. Di certo, però, le sorrisi d’un sorriso donato senza nulla pretendere e, per questo, come un bel fiore, non colto da lei. Quanta fortuna, io ebbi, lo stesso, nello scoprire, qualche attimo dopo, che ella stava scendendo alla mia stessa stazione. Si alzò lentamente, poco prima di me che ancora, assorto, la stavo ammirando, sollevò le piccole spalle per avvolgersi meglio nel suo cappotto nero di panno, scosse con un sol colpo i capelli, belli, ma non troppo curati, e dietro di essi nascose il suo volto, come se avesse vergogna, ma non credo vergogna di me, giacché, ne sono sicuro, neanche s’accorse d’avermi di fronte. Non conosco le strane alchimie, oppure l’irrazionalità, dei comportamenti dell’uomo: non quelle degli altri, e neppure le mie, e quindi, nulla sapendo, stregato dalle illusioni che lei non mi diede, ma sicuramente affascinato da chissà quale vago mistero, volli fare dapprima come fa tanta gente: la più romantica e sognatrice, che perde lo sguardo nel cielo a contemplare i gabbiani o le rondini, fino a quando, poi, come cancellandosi, spariscono all’orizzonte, e la osservai allontanarsi lungo la strada; ma poco prima che lei svanisse del tutto, sentii di non volerla perdere magari per sempre, ed affrettando il mio passo, come fossi la sua ombra smarrita, in un giorno al calare del sole, la seguii silenzioso.
Come era leggero il suo passo! Faticavo a non raggiungerla, mentre il mio cuore batteva, non so per quale motivo, come quello di un giovane innamorato che rincorre l’amata per poterla abbracciare, e giungemmo ad un prato. Si sedette sull’erba, all’ombra d’un salice, ed io la spiai, attento e curioso, da una panchina, a pochi metri di distanza da lei.
La ragazza scriveva e cantava:
“Verdi prati celano alla nuda terra lacrime e sangue; foglie soffici curano le amare ferite d’un cuore che langue…
Rossa linfa di rosa, chiare stille di pianto: è questa la vita preziosa? È questa? Questa soltanto?
Rossa linfa di rosa, chiare stille di pianto: è questa la vita preziosa? Dolore? Dolore e rimpianto?
Cineree nubi annebbiano le assolate giornate di primavera; dorate, le stelle, mascherano ogni mestizia la sera.
Nel grigio, la mente riposa, e un ago d’oro ne cuce l’incanto: è dunque la vita preziosa tutta racchiusa in un canto?
Nel grigio la mente riposa, e un ago d’oro ne cuce l’incanto, è dunque la vita preziosa, una vaga illusione soltanto?”
E cantando piangeva: vedevo due rivoli sottili scivolare e cadere dalla sua testa chinata in avanti, ed inumidire il foglio che lei stringeva nella mano sinistra, scrivendo, con la destra, segreti sconosciuti a me ed al mondo, ma certamente, a sentire la sua malinconica filastrocca, non felici. Passai molto tempo, ad osservare la ragazza triste, là seduta sotto un salice piangente, in quel prato non molto distante dalla stazione, ed il guardarla mi portava alla mente le romantiche e malinconiche atmosfere dei racconti gotici che ho amato e che amo ancora oggi, poiché sanno affiancare così bene l’amore e la morte, come fossero l’una con l’altra legate da un filo inscindibile e divino, ed entrambe conseguenti e di uguale valore. Fu così che pensai di trovarmi dove un tempo sorgeva la maestosa casa degli Husher, così ben narrata da Poe nella novella che ne rammenta la rovina, o nella soave poesia dedicata al Palazzo Stregato, ove
“Chi passa, ora, per quella vallata, intravede, per le rossastre vetrate, irreali, immense forme muoversi al ritmo d’una dissonante melodia, e come un lugubre, rapido, fiume, per sempre dirompe dal cereo portale un’orrida folla che ride; ride, ma non sorride più”.
Fu così che i singhiozzi mi parvero un riso sguaiato, ed un fiume, le sue vitree lacrime. Una folla, il suo gracile corpo, ed una vallata quel prato, avvolto dal macabro canto; mentre un maniero, sembrava quel salice dai rami pendenti, fra i quali s’aprivano purpurei antri, e dietro di esso, scorsi una rupe, giù dalla quale lei si stava gettando, come un angelo nero che tornava nell’Abisso di fuoco. Fu un battere di ciglia; un breve istante di buio, poi tutto scomparve. L’aria frizzante mi carezzava le guance: il prato era un semplice prato, ed il salice era tornato ad essere un albero. Tutt’intorno aleggiava soltanto il silenzio… il silenzio in un verde campo deserto. Delicata, su di un fiore, accanto al luogo in cui vidi la ragazza, si posò una gentile farfalla; la raggiunsi e volli catturarla: le sue ali erano un foglietto sgualcito, piegato a metà. Lo dischiusi e vi lessi il mio nome.
Ne è passato di tempo, da quel giorno lontano, e certe notti addirittura la sogno, quella triste fanciulla, frequentemente, però, la penso e ricordo i suoi lunghi capelli scuri e un po’ mossi, il suo vago sorriso e quegli occhi celesti che, invece, non vidi sorridere mai, ma è nei pochi momenti in cui mi è distante dal cuore, o nelle mattine in cui, al risveglio, mi accorgo che non ha giaciuto al mio fianco, che ella m’appare per quella che è, ed io la chiamo per nome: Tristitia, perché solo in quegli attimi posso sorridere senza alcuna paura o timore di lei.
“Tristitia-By Davide Vaccino” Pubblicato nel 2003;©Copyright2003
Ad Memoriam.
Davide Vaccino 08.09.1970-08.08.2011 Giornalista, scrittore, poeta… Amico.
“Nel ricordo non si muore Mai”
Immagine : “Google”
“Sogno un antico Re. Di ferro
è la corona e morto lo sguardo.
Non ci sono più di queste facce. La ferma spada
lo rispetterà, leale come il suo cane.
Non so se è di Northumbria o di Norvegia.
So che è del Nord. La folta e rossa
barba gli copre il petto. Non mi getta
uno sguardo, il suo sguardo cieco.
Da quale spento specchio, da quale nave
dei mari che furono la sua avventura,
sarà spuntato l’uomo grigio e grave
che m’impone la sua antichità e la sua amarezza?
So che mi sogna e che mi giudica, eretto.
Il giorno entra nella notte. Non se n’è andato”. Jorge Luis Borges
So che dentro a questo buio le porte, che contornano questo luogo, sono aperte; So che le finestre sono sprangate da sempre. L’odore acido di fumo di sigaretta impregna in sudario che mi avvolge. Non vedo; qualcosa, qualcuno mi ha bendato gli occhi. Vorrei prendermi in braccio, muovere queste braccia di gesso, lasciar gridare le mie corde vocali. Ci provo, tremo, mi acquieto e prego quel Dio che si è dimenticato di me. Maledetto. Sì, dev’essere che son morta mille anni fa. Cado, precipito in un incubo senza fine. Ed è dalla fine che ricordo l’inizio. Fotogrammi reali, nitidi e senza difetti. Eccomi con ali di falena sbattere nel riverbero dorato di quest’incubo senza fine, senza inizio. Eccomi; la testa sulle spalle le nuvole nel cielo, il gelo nelle ossa, un piede in una scarpa e un altro in un’altra; il disordine sulla scrivania, i gatti dentro casa e il profumo della pioggia sulla faccia. Il caldo opprimente è sparito con il primo temporale di settembre. Eccomi, ora resto immobile, come immobile è lo sguardo di chi mi segue da lontano. Il ricordo dell’inizio. Sono uscita a fare una passeggiata; amo camminare sotto la pioggia e amo il rumore dei tuoni che squarciano le nubi vestite di nero. Un colpo di vento, forte, mi butta per terra. Sento la faccia schiacciata nel fango; mezza faccia è sprofondata nel miscuglio puzzolente di fango e acqua. Ora piove forte e non so come mai non riesco a rialzarmi. Sicuramente un masso mi è rovinato addosso, facendomi cadere a terra. Il gusto ferroso del sangue mi cola tra le labbra. Mi sento soffocare. Non riesco a muovermi. Nessuna auto che passa, nessuno che mi soccorre. Eppure questa strada è trafficata, eppure qualcuno dovrebbe vedermi, così, stesa a terra nell’erba… colpita da un masso. Sento che mi sono ferita, ho sbattuto la faccia e la testa. Sanguino.
Buio.
Mi sento trascinare.
Mi hanno trovata. Che cosa mi succede ora?
Prendo coscienza delle cose con incredibile lentezza. Ho male dappertutto, come se qualcuno mi avesse pestato a sangue, eppure un attimo fa, qualcosa mi ha fatto cadere. Sono solo scivolata.
Si ricordo, un masso o il ramo di un albero, con il temporale mi è caduto addosso. Ma perché non riesco ad aprire gli occhi, perché mi fa male dappertutto. Non lo so.
Non capisco cosa mi stia capitando. Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Un paio di mani forti mi gira all’insù. Uno schiaffo. E poi un altro. Sento una lama gelida tagliarmi la pelle delle braccia e la pelle delle cosce. Altre due mani, strappano l’abito leggero. Sento forte l’odore di sudore. La voce di un uomo. O di un ragazzo che si crede un uomo. Sta per succedere qualche cosa, lo sento. Respiro a fondo, ma non riesco a parlare, non riesco a dire nulla. Cerco di prendere fiato respirando velocemente una, due, tre volte…mille volte. Sento stringere i miei seni, sento che qualcuno mi graffia la pelle del ventre. Sento la pioggia battente e il rombo dei tuoni. Ora uno mi si appoggia davanti spalancandomi le gambe, mentre un altro si accuccia vicino alla mia testa. Sì, sta per succedere qualche cosa, lo so. Ho paura, piango e tremo, prego che sia un incubo. Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli come a essere pronto a tenermi più ferma. Mi sento strappare le mutandine di cotone. Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si strofina contro la testa. Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare. Mi sento strappare la carne, lo sento dentro le viscere. E’ un dolore insopportabile. La verginità che conservavo per l’amore vero mi viene strappata ai bordi di una via, no so dove. Tento di muovermi; di scappare. Ma dove potrei mai fuggire?
“Ti piace puttana, ti muovi?; Dai troia, fammi godere. Fammi godere”.
M’immobilizzo di colpo, il cuore mi si sta spaccando dentro al petto. Uno schiaffo, un morso sulla spalla nuda. Una bestia mi sbrana. Non smette più di farmi male. Non smette più di prendermi.
“Mamma, mamma!”.
“Muoviti puttana fammi godere”. Sono di pietra, mentre lo schizzo di qualcosa di viscido mi colpisce la faccia.
“Mamma, mamma… Aiuto!”. Imploro in silenzio la morte. Il dolore non ha fine. I colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.
“Dai troia, fammi godere o ti ammazzo come una cagna, perché sei una cagna”.
Sento quello dietro di me colpirmi con qualcosa di duro. Il sangue mi cola su naso, sulla bocca. Tossisco. Ecco, credo di essere, allora, svenuta.
Non so quanto tempo sia passato. Non so quando sono morta. Ma ora sono sveglia.
“Dormi, piccola. Dormi. Non è arrivato il momento di svegliarti, devi dormire per far guarire le ferite. Ora sei al sicuro. Sono Victor e ora sei mia figlia. Dormi…”.
Un dolore acuto al braccio. Il sonno chimico.
Buio. Incubi.
Mi sento cullare.
Mi ha trovata. Che cosa mi succede ora?
Pace. Victor. Un padre.
Buio.
“L’inizio-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina”©Copyright2011/2013
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“Viola d’alba-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011
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“Flashback-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011
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“Apocalisse-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011
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Folle il mio ricordo nel dondolio del mare, quando le sirene hanno un dolore da cullare. Quel silenzio che racconta del vento nascosto e delle stelle timide al tocco della luce e riflette qualcosa di più grande, che non conoscono: Quegli occhi accesi nel cuore e il sole ferisce nel sonno, forti e teneri, densi, leggeri e freddi, ma con un sogno sul viso, quasi un bacio!
Sento quella mano mentre, lontano, un gallo urla al sole la sua potenza e il profumo dell’erba schiaffeggia le mani.
Ho dato la mia voce, credendo di poter parlare con la sua; ho dato la mia anima illudendomi di poter vivere in eterno e ho sacrificato il mio mondo. Ma, al posto della voce, ho avuto il pianto e per colmare lo spazio lasciato vuoto dalla mia anima, ho trovato il dolore,… questo dolore.
Adesso scende la sera e la brezza del mare dà sollievo alle anime, ai miei piedi ed ai miei pensieri.
Preferirei perdere coscienza di me, perdere coscienza di ogni cosa, del mio dolore, del mio destino e giungere all’alba privo di sensi, privo di memoria per non rimpiangere niente, privo di sensibilità per non avvertire niente, privo di conoscenza per non vedere i suoi occhi.
Stordito sulla spiaggia di questo cuore, ho percepito il suono del vento, il palpito affannato delle onde ed un ricordo!
Questo ora è tutto quello che ho; questo è tutto quello che mi resta: Un riflesso nell’acqua … la mia anima e la mia mente smarrite, in un attimo passato in fretta, tra i miei capelli e le mani.
Non mi rifletto più nella schiuma del mare, ogni giorno ed ogni notte, tra queste stelle impazzite e senza tempo.
Non più.
…e il quinto angelo suonò la tromba.
E vidi una stella caduta dal cielo sulla terra;
e le fu data la chiave del pozzo dell’abisso.
Ed aprì il pozzo dell’abisso…
(Apocalisse 9, 1-2)
“Il quinto angelo-By Ninni Raimondi” ©Copyright2011
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“Victor, l’intervista-By Ninni Raimondi” ©Copyright2011
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“Panta Rei-By Ninni Raimondi” ©Copyright2011 (Già pubblicato in data 19 Maggio 2007 AMRaimondi)
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“Pointe St. Mathieu-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011
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“Logori ricordi-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011
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“La lettera-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011
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“Solitude-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011
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“Adieu-By Ninni Raimondi” ©Copyright2011
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“3.33” ©EmmaVittoria F. Dall’Armellina 2011
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.....semplicemente quello che vedo e niente più
Malleus Rudĭum
Gli uomini sono nani che camminano sulle spalle dei giganti. E dunque, è giusto citare i giganti.
Fleeting photography
" Fai della vita la tua forma d'arte, che ogni attimo possa diventar verso ed ogni giorno pagina." Questa è la mia arte. Questa è la mia storia. Questa è la mia vita. Almeno in 'parte'...
Qui all'ombra si sta bene (A. Camus, Opere, p. 1131)
UN ALTRO MONDO E' POSSIBILE
Nasce dall'esigenza di dare qualche informazione utile sui mezzi di trasporto, ristoranti, guesthouse, luoghi e orari dei viaggi fatti.......lasciando la poesia alla fotografia
Fotografie e quant'altro
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Fiabe Atroci - Blog contrario all'attualità e favorevole alla realtà
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Tessiture di Poesia, Arte e dintorni per ri-costruire umanità (o così si spera) a cura di Angela Greco AnGre