Capitolo Quinto: “La lettera”

“Je ne sais pas comment écrire une lettre.
Je n’ai jamais écrit. Pas moi, serait enseigner.
Paris est triste ce soir, et moi avec elle.”
“Non so come si scriva una lettera.
Non ne ho mai scritte. Non me lo insegnasti.
Questa sera Parigi è malinconica, ed io, con essa”.
 Mi abbraccio, cullandomi al suono ticchettante della pioggia. E’ un rumore lieve, metallico e sembra scandire il tempo, come un vecchio orologio a pendolo. Piove ininterrottamente da tre giorni. La pioggia è poca cosa rispetto alla nostalgia che mi attanaglia la gola e mi intorpidisce le mani, che a stento sorreggono la tua stilografica nera. I giorni scorrono sempre uguali, fotocopie sbiadite senza forma e senza colore. Trecento trentatré giorni senza di te. Quasi un anno, ma sembra ieri.
 ” … Vous êtes allé sur une froide journée de Décembre.
J’ai toujours aimé l’été.
J’ai toujours détesté l’hiver”.
Te ne sei andato in una fredda giornata di dicembre.
“Ho sempre amato l’estate.
Ho sempre odiato l’inverno”.
Conobbi con te il mare d’inverno. Nella stagione fredda, come in quella estiva, il mare è in grado di avere migliaia di tinte e infinite sfumature di colore. Ero abituata alla placida campagna, ai silenzi, ai colori violacei del fiordaliso. Poi, tu, mi hai fatto scoprire la vastità del mare. Le gradazioni bluastre e cangianti che si mischiavano ai colori sbiaditi di un cielo invernale. Blu, oro, verde, indaco; fluttuanti tonalità che variavano con il dondolio delle onde. Davanti a tanta immensità, m’insegnasti a divenire mare, ad amare. Amarti.
Imparai a diventare onda. Eravamo vicini. Mano nella mano. L’odore salmastro all’inizio sembrava l’afflato terrorifico di Nettuno, ma poi m’insegnasti a respirarlo, amandone il gusto che mi lasciava sulle labbra, sulla pelle e dentro agli occhi. “Lascia che il mare ti scopra, ti riconosca, ti scorra dentro…”. Era quello che mi sussurravi piano. Ed io seria, come una bimba a scuola, ti ascoltavo. E diligentemente mi avvicinavo alle piccole onde che lambivano la spiaggia spoglia, e lasciavo che l’acqua gelida mi accarezzasse i piedi. Faceva freddo, ma eravamo fianco a fianco e tutto scorreva su di noi, come piccole carezze, sinuose e liquide.
Ero convinta che agli esseri umani fosse concesso solo di scorrere vicini gli uni agli altri, ma distinti e separati, come due rette parallele che possono incontrarsi solo all’infinito. In tutto questo tempo, che a tratti sembra immobile, ho concluso che l’amore non era altro che impossibilità, nient’altro che l’irresistibile protendersi degli esseri umani verso un affascinante Nulla. Per quanto strano possa sembrarti, l’ho sempre creduto. Mi protesi verso quel nulla, che aveva le tue fattezze.
Arrivasti tu. Avevi le tasche piene silenzio e gli occhi pieni di buio.
Pioveva. Come questa sera.
Vivemmo l’intensità di un amore che non aveva uguali.
Vivemmo di piccoli passi, fatti a piedi scalzi. Scevri di un tempo che sembrava non appartenerci.  Venne poi la notte dell’eclissi.  Un oscuro bacio, l’abbraccio eterno. Il salto nell’abisso della non vita, della non morte. Il tormento di tutte le mie notti. Naufraghe di te, di noi.
Dissero che il mare ti aveva preso. E ti maledii.
Non viva, non morta.
Ascolterò la sete, la rabbia e l’odio.
Sarò onda che infrange dolenti anime. Sarò della notte l’ultimo singulto vitale. E di te avrò tutto, di me nulla.
“Oubliez votre nom. Vous serez au repos que les algues dans la mer, que vous aimiez tant. Ce que j’ai appris à aimer.
Cette mer est maintenant la haine calme.
La poussière à la poussière, chute de la goutte.
Adieu…”.
“Dimenticherò il tuo nome. Rimarrai come alga poggiata in fondo al mare, quello che amavi tanto. Quello che imparai ad amare.
Quel mare placido che ora odio.
Polvere alla polvere, goccia dentro goccia”.
 Adieu.

“La lettera-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011

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Immagine: Google -EVFDGraphics

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