Capitolo Sesto: “Logori ricordi”

Avevo raccolto il foglio logoro dal pavimento.
 “Adieu”.
 “Je t’aime”.
Arrotolai con cura la lettera con mani tremanti. Ricordai. Avevo scritto, cancellato, strappato fogli, riscritto. Nessuna frase, non una virgola era fluita dal mio animo in modo naturale. Ogni singolo maledetto carattere sembrava un macigno di dolore, traslato su di un fragile pezzo di carta. Parole vergate rabbiosamente, affilate dal dolore e dalla nostalgia di qualcosa che non conoscevo; o forse, non volevo ricordare.
Nascosta anche a me stessa, osservavo quel foglio candido.
La pregiata carta pergamena sottile e leggermente rugosa, aveva assorbito l’inchiostro nero dei miei pensieri, mischiandosi all’oscurità del luogo che mi ospitava. Vivevo da qualche tempo in una soffitta di pochi metri quadrati. Lasciai scorrere lo sguardo sulle pareti disadorne e mi soffermai a guardare il grande oblò di vetro, da cui proveniva l’unico segno di vita che c’era in quella stanza. Un sottile fascio luminoso, dalle sfumature indaco e rosa, filtrava trasversalmente dal lucernaio aperto, illuminando piccoli granelli di pulviscolo, che vorticavano per aria simili a impercettibili coriandoli bianchi. Leggeri e danzanti, li vedevo precipitare a terra, per poi scomparire nel nulla. Li osservai per un lungo frangente di tempo, tramutandomi in essi.
Sospirai, lasciandomi coinvolgere in quel lento valzer.
E mi sentii viva e leggera, come un granello di polvere che danza in un raggio di luce alabastrina.
Nella scarsa luminescenza della stanza arredata poveramente, spiccavano lisce superfici impolverate, scatole accatastate una sull’altra, vecchi mobili e centinaia di vecchi libri sparpagliati un pò ovunque. I giochi chiaroscuri rendevano più tenebrosi gli angoli bui, conferendo  argentei riflessi ai filamenti delle tante ragnatele che pendevano distratte dalle travi tarlate. Le osservai stupita, pensando che non ne avevo mai visto così tante tutte assieme.
Ora sapevo che cosa dovevo fare.  Sarei ritornata a vedere il mare, e avrei portato con me la lettera.
L’avrei infilata in una bottiglia, insieme al cerchio d’oro e diamanti che Victor mi aveva regalato nel giorno della mia nascita, o forse nel giorno della mia morte. La quiete asincrona divenne frenesia.
Nella penombra che si vestiva dei colori dell’alba, iniziai a rovistare alla ricerca di una bottiglia vuota. In fondo alla vecchia credenza ne trovai una piccola, di vetro trasparente con un tappo di sughero consumato.  Legai la lettera con un lungo nastro rosso e la infilai nella bottiglia. Mi sfilai dalle dita smagrite la vera di diamanti, la baciai e la feci scivolare all’interno della bottiglia. Lo scrigno di vetro sembrava perfetto, fatto apposta per accogliere i pensieri e i frammenti della mia esistenza appena passata.
Uscii nel mattino carico di pioggia. Direzione mare. Direzione Brest, in Bretagna.
“Faro di Punta S. Matteo”. Furono le prime e le ultime parole che dissi al tassista. Forse fu il mio tono, il mio aspetto, il mio volto pallido trincerato dietro i neri occhiali o le varie banconote da cinquanta euro,  lanciate sul sedile anteriore  a non far  replicare l’uomo. Mi lasciai avvolgere dal silenzio, rotto dal vago gracchiare della radio. Non ho ricordi del tragitto; penso di essermi addormentata nel taxi che mi portava a Point Saint Mathieu, sulle coste della Bretagna.
Sognai. Spezzoni in bianco e nero, fotogrammi fluttuanti di braccia e labbra, di mani che si ergevano da placide onde, immobili e rossastre. Le stesse onde che si chiudevano sopra di me. Un sussurro invocava il mio nome, facendomi  precipitare a fondo mentre l’acqua salata riempiva i miei polmoni. Mi abbandonai alla forza degli elementi e lasciai fuoriuscire l’ultima boccata d’ossigeno in quel ventre marino salato e denso.  Rividi Victor nell’ultimo salto verso il nulla.

“Logori ricordi-By EmmaVittoria F. Dall’Armellina” ©Copyright2011

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Immagine: Google-EVFDGraphics

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